vai al contenuto principale

L’ospedale di Venezia 1967-70

giovedì 11 luglio, ore 19

Il periodo successivo alla conclusione del progetto di Le Corbusier per l’Ospedale di Venezia è un racconto inedito. Partendo dal presupposto che la proposta del progetto del 1964, sviluppata nelle due varianti successive, si basava su idee rivoluzionarie per l’epoca, parlare del progetto Le Corbusier oggi può alimentare un dibattito utile a migliorare la qualità delle future architetture ospedaliere e socio-sanitarie. Di una tipologia ben lontana da quelle dei monoblocchi o dei policlinici a padiglione in voga all’epoca dell’assegnazione dell’ospedale veneziano – regolamentate dalla normativa del 1939 -, la proposta di Le Corbusier garantiva flessibilità e lungimiranza nella definizione delle piastre dei servizi ospedalieri (diagnosi, cure o generali), separate ma interconnesse con percorsi selettivi e non interferenti con la degenza. Al tempo stesso, poiché “l’ospedale è la casa dell’uomo”, l’architettura sapeva coniugare “dimensione funzionale e dimensione poetica”, pensando agli spazi della malattia come fossero residenze familiari.

Tuttavia, il progetto presentava varie ‘criticità’, molte delle quali dovute alle indicazioni errate della committenza, quali la scelta dell’area (che non teneva conto, tra l’altro, della demolizione della chiesa di S. Giobbe) e la richiesta sovradimensionata di 1200 posti letto. Considerando le esigenze di oggi, infatti, l’ospedale di Le Corbusier sarebbe 4 volte più grande di quanto necessario per la popolazione della Venezia insulare.

Quanto all’area prevista dal PRG (1962), in realtà definita ‘strategica’, sarebbe stata funzionale ai veneziani che vi sarebbero arrivati a piedi o in barca, ma anche agli abitanti della terraferma che avrebbero potuto raggiungere l’ospedale in treno, in autobus o in auto tramite una rampa che avrebbe dovuto collegarsi al nuovo ospedale, piegando a L dal Ponte della Libertà; il progetto architettonico avrebbe così rispecchiato lo spirito moderno della Venezia del dopoguerra. Innovativa dal punto di vista ‘sanitario’, ‘umano’ e ‘urbano’, oltre che per la flessibilità dell’impianto tipologico, quell’opera mancata di Le Corbusier avrebbe potuto cambiare il corso della sanità veneziana, accelerando anche il progresso della applicazione della tecnologia alla scienza medica, anticipando di circa 50 anni l’assistenza sanitaria per come è oggi organizzata.


RELATORI

Antonio Canini è un architetto veneziano. Prima di dirigere il settore sanitario e socio-sanitario della Regione Veneto (1984-2018), ha lavorato assistendo alla nascita operativa del settore dei lavori pubblici della Regione di edilizia scolastica, impianti sportivi, asili nido e scuole materne (1976-1984). Come dirigente ha partecipato all’attuazione di programmi di investimento a supporto delle strutture amministrative e di pianificazione. Dal 1994 al 2018 è stato membro del Nucleo di valutazione del Ministero della Salute per i progetti di finanziamento delle strutture sanitarie. Inoltre, dal 2004 al 2017, è stato Commissario di Governo per la ricostruzione dell’Ospedale di Villafranca.

Reto Gmür, architetto svizzero, ha sviluppato la sua esperienza insieme alla madre Silvia Gmür, recentemente scomparsa. Con l’obiettivo finale di garantire un’esperienza positiva dell’abitare, la loro architettura rigorosa mira a liberare una dimensione poetica che nasce dall’unione dell’esperienza dello spazio, del modo in cui si può vivere, della struttura che sostiene e della luce che dà vita. Uno dei temi costanti della loro ricerca, l’abitare è indagato soprattutto nella progettazione degli ospedali, seguendo il dettato di Le Corbusier: l’ospedale è la casa dell’uomo. Sulla base di ciò, nel 2008, la coppia di architetti svizzeri aveva concorso al progetto per il nuovo Ospedale di Venezia-Mestre e, sempre a Venezia, nel 2014, a Palazzo Ducale, aveva allestito una grande mostra sull’edilizia ospedaliera moderna, un confronto sui modi di ripensare gli spazi per la malattia con una dimensione più umana.

Clemens F. Kusch opera dal 1996 con il suo studio professionale a Venezia, nei settori della progettazione sia di grandi progetti quali fiere, ospedali e aeroporti che di progetti più piccoli come negozi o allestimenti di mostre. Nel project management è partner italiano di studi tedeschi quali Gmp Von Gerkan, Marg & Partner (Amburgo), Jswd (Colonia) e dei vari curatori tedeschi della Biennale di Venezia. È corrispondente di riviste tedesche e ha pubblicato numerosi saggi e articoli sull’architettura contemporanea. Ha curato le pubblicazioni “Poli fieristici”, Forma Editore (2013) e la “Guida all’architettura. Venezia. Realizzazioni e progetti dal 1950”, Dom publishers (2014).

Marco Zordan è architetto e uno dei Procuratori di San Marco. Figlio di un artigiano della pietra della valle dell’Agno, ha diretto vari progetti di restauro come il Museo di Ca’ Pesaro (co-progettista e direttore artistico con Boris Podrecca), Casa Goldoni, Palazzetto Bru-Zane, Palazzo Mocenigo. Già docente all’Universita’ Iuav di Venezia, è consulente della Fondazione Musei Civici di Venezia per il Museo di Storia Naturale, Museo del Vetro, Museo Correr, Palazzo Ducale. Attualmente sta lavorando ai progetti per l’area ex-Lanerossi a Schio, l’ex mensa Badoer e le “Muneghete” all’Arsenale.

Mario Po’ è il Direttore del Polo culturale e museale della Scuola Grande di San Marco, Venezia. Direttore del dipartimento economico-finanziario e del personale convenzionato nell’Ulss di Treviso, poi direttore amministrativo nell’Ulss di Castelfranco Veneto-Montebelluna, direttore amministrativo degli Ospedali di Venezia e di Mestre e, infine, direttore del dipartimento tecnico dell’Ulss di Venezia, è esperto di informatica applicata alla sanità e di logistica ospedaliera. Membro di Global Forum, Parigi e consulente di Forum PA, Roma, è consulente per organismi sanitari di Israele e partner della Chiesa cattolica di rito latino di Ucraina, Kyiv.

Torna su